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http://mauriziomelozzi.blogspot.it/
INTERVIEW :
Canon Interview By Mose’ Franchi :
I MOMENTI DELL’EMOZIONE
Incontriamo Maurizio Melozzi (il professionista della settimana) prima tramite le immagini (via internet), poi al telefono. Le sue fotografie di moda ci avevano stupito. Ovunque c’era semplicità, chiarezza, pulizia: ma anche una forte intensità emotiva. Le modelle non posavano soltanto, sembravano recitare per chi avesse visto le foto: al di là del fotografo, quindi. Questione di magie, che Maurizio tende a creare sempre, spesso costruendo dei contrasti tra abito e scena: il tutto nel rispetto della verità. Sì perché i luoghi sono comuni, usuali, riconoscibili; forse quelli dove noi (osservatori) vorremmo trovare quel tipo di modella, con quegli abiti, sorretta da quelle espressività. Ecco che tutto il “frame” diventa maggiormente riconoscibile e più alla portata: ma anche lontano dagli stereotipi comuni che degli scatti affrettati di oggi tendono a farci vedere. Questione di spazi, quindi: ma anche di momenti. Una storia, peraltro interpretata da chi guarda, ha bisogno di una piccola magia, che è quella del ricordo che subentra. Ecco, sì: le immagini di Maurizio sono storie concluse, vissute, le stesse che per sintesi diventano quasi un bel ricordo da incorniciare; è il “tempo” che diventa “momento”, separandosi un poco dal divenire. Così entrano in gioco anche quelle pose un po’ forzate, che per magia risultano riconoscibili, forse anche desiderate. Sono i “momenti dell’emozione”, quelli che i nostro ci restituisce, per raggiungere i quali lui mette in gioco abilità, tecnica, ma anche i propri principi: ai quali si allea con una coerenza antica. Noi li abbiamo rispettati, dopo aver goduto di tanti racconti fatti apposta per noi.
Grazie a Maurizio Melozzi per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.
D] Maurizio, quando hai iniziato? E perché?
R] Ho iniziato giovanissimo. Tieni conto che sono figlio di un fotografo, che però non voleva mi avvicinassi alla professione. Lui lavorava per il ministero e mi cacciava continuamente dalla camera oscura. Io, di soppiatto, rubavo le apparecchiature e scattavo foto ad amici, cose e paesaggi: il tutto casualmente, senza uno stimolo preciso. Solo col tempo ho capito come la fotografia racchiuda una filosofia: che poi è quella della logica (da seguire) ed anche del comportamento da tenere. Quando si scatta, nulla dovrebbe essere governato dal caso.
D] Professionalmente: a quando gli esordi?
R] Sono professionista da dieci anni. Prima lavoravo nel mondo della moda: tra vendita e comunicazione. Tra l’altro, quest’ultimo ambito lo seguivo per passione. Quando veniva organizzato un set fotografico, io cercavo di comprenderne il funzionamento. Ricordo che un giorno rimanemmo senza fotografo, così il direttore commerciale, conoscendo le mie attitudini, mi propose: “Lo vuoi fare tu?”. Io accettai; da lì al salto della barricata il passo è stato breve.
D] Sento tanta passione: è così importante?
R] Passione e sogni sono il motore della vita. Il lato economico, che pure ha una sua valenza, viene in secondo piano.
D] Hai avuto degli elementi ispiratori?
R] Molti e da tutti ho cercato di prendere qualcosa. Potrei citarti Peter Lindberg, Bruce Weber, Terry Richardson, e Marino Parisotto. Quest’ultimo l’ho anche conosciuto: è una persona cordiale, con anche una forte comunicativa.
D] Ti hanno dato molto?
R] Non voglio essere presuntuoso, ma ho cercato di avvicinarmi a loro. La fotografia è anche questo: guardando le immagini degli altri, riesci a prolungare i tuoi sogni. Chi non si è soffermato sull’ambiguità di Helmut Newton? Tentando poi di farla propria?
D] Maurizio, come hai curato la tua formazione?
R] Sono un autodidatta completo. Ho cercato di imparare con i libri, ma anche con la continua sperimentazione: buttando via quantità esagerate di acidi e carta. La scuola più grande, però, è venuta dai colleghi: almeno da quelli ai quali mi ero affidato per le domande che mi sorgevano studiando. Del resto Giovanni Cozzi diceva sempre: “La tecnica fotografica la impari in un giorno, il mestiere in una vita”; questo perché è difficile riuscire di mettere l’emozione in quello che si fa.
D] Su internet, nei vari articoli che ti riguardano, vieni definito come un ritrattista: ti ci riconosci?
R] Sì, è vero: amo molto il ritratto e la figura umana. In quell’ambito non puoi fermarti su ciò che vedi fuori, ma cercare l’anima: ciò che la persona non può mostrare solo con i caratteri estetici. Del resto, il ritratto è una componente forte della fotografia.
D] Metti le regole del ritratto in tutte le cose?
R] Diciamo che mi sono dedicato anche ad altro. Ho fatto paesaggi, e poi semplicemente “attimi di vita”: sensazioni appena catturate dagli occhi. Il ritratto mi piace molto, ma pure tutto quanto può suscitare curiosità.
D] Se dovessi definirti per uno stile, come ti chiameresti? Ritrattista? Interprete del fashion?
R] Secondo me non esiste il fotografo fashion. Chi opera nella fotografia dovrebbe avere il desiderio di esprimere una storia. Anche Avedon (altro grande) ha fatto del reportage; questo per dirti che la voglia di raccontare risulta essere una caratteristica intrinseca di chi lavora per immagini fisse. Quando mi trovo sul set, non fotografo solo un vestito, ma anche chi lo porta, colui (o colei) che lo indosserà, ed anche come lo vedo realmente. Questa regola, poi, possiamo anche allargarla ad altri ambiti. Se scatto una campagna, voglio comunque qualcosa in testa da poter interpretare.
D] Qual è la qualità più importante per un fotografo come te?
R] Mettersi sempre in discussione, analizzando in continuazione cosa si sta facendo; ma anche rimanere se stessi, coerenti con i propri principi.
D] Maurizio, vedo che tendi ad ambientare le tue storie in habitat inconsueti per il soggetto: perché?
R] Mi piace: amo creare contesti che vadano in contrasto col soggetto ritratto, almeno per quanto attiene agli stereotipi che lo accompagnano. Tutto questo rappresenta uno stimolo per la fantasia. Poi, nel mio caso il contrasto non è contrapposizione pura. Diciamo che vado oltre gli occhi, con l’intenzione di contestualizzare il tutto. La fotografia è anche testimonianza ed è per questo che gli ambienti che uso spesso sono luoghi visibili tutti i giorni, ma che non siamo abituati a legare con l’eleganza di un vestito o con la bellezza di una modella; succede che anche la location, reinterpretata, non venga più riconosciuta per quella che era. Insomma: scompaginare un po’ le cose può risultare utile.
D] Bianco & Nero o colore?
R] Bella domanda. Istintivamente risponderei B/N. Quando ero ragazzo per vedere monocromatico mettevo un filtro rosso davanti agli occhi …
D] Però …
R] Però, anche il colore ha un suo ruolo. Nella vita, vai a periodi: alle volte ti piace il “colore forte”, contrastato; in altri casi prediligi le tinte “desaturate”. Il bianco e nero, comunque, esercita su di me un fascino particolare; credo dipenda dal fatto che la fotografia assume un significato più vero, venendo a mancare il fattore distraente dei cromatismi.
D] Scatti a colori?
R] Oggi, col digitale, si fa così: il file viene trasformato dopo.
D] Tu vieni dall’analogico?
R] Sì.
D] Qualche rimpianto?
R] Forse sì, anche se il digitale ci ha aiutato tanto, al punto che non tornerei indietro. Manca forse l’adrenalina, perché un tempo fino all’ultimo non eri in grado di intuire i risultati che avevi ottenuto. Insomma, l’analogico incarna il romanticismo della fotografia.
D] Tornando ai contrasti tra soggetto e scena, la foto qui sopra ne è un esempio forte …
R] Mi piaceva il cemento, la luce verde. Era bella l’idea della ragazza in costume, inserita in un ambiente ostile per lei. L’atmosfera è quasi “clinica”: una scatola inospitale per un fiore che ha scelto il posto sbagliato. Io, comunque, amo variare le mie location: posso passare da una stanza barocca, ad un box per auto (che poi è il mio).
D] Nelle tue foto vedo un glamour castigato, eppure molto sensuale: che tipo di donna esce dalle tue immagini?
R] A me non piace sbattere in faccia al pubblico la nudità. Dico sempre: “Non sono un anatomista”. Preferisco il “vedo – non vedo”, perché è chi guarda a dover mettere in moto la fantasia. Esistono poi le eccezioni: se uno vuole studiare il donarsi, prende una modella e la comprime su un muro bianco; in quel caso, però, occorrono anche altre cose, non ultimo il carattere del soggetto che deve risultare forte, determinato.
D] La donna delle tue foto, però, che tipo è?
R] Se stessa: non recita e mostra il proprio carattere, forte per lo più. Naturalmente è determinante quanto si vuole rappresentare.
D] Scatti più volentieri in esterni o in studio?
R] Non amo scattare in studio. Anche “al chiuso”, prediligo ambienti che esistano. Il fondale bianco non fa per me.
D] Nelle tue immagini traspare comunque un’attenzione forte per le luci: veramente molto curate …
R] Vero: mi piacciono le lame di luce ed i giochi di ombre. Se mi consenti un parallelo che forse non è per queste righe, Caravaggio, il pittore, poneva la stessa attenzione nei suoi quadri. Ed è per questo che li amo molto.
D] Lame di luce e giochi di ombre: un po’ come nelle immagini qui sopra?
R] Sì, la luce che vedi è quella di un lucernaio. Come ti ho spiegato prima, ho solo interpretato il soggetto con quanto ho trovato.
D] Anche le pose dei modelli spesso sono inconsueti …
R] Dipende dall’ambiente ed anche dal soggetto: se sono sufficientemente stimolati, tendo a forzare pose innaturali; che poi magari non lo sono, perché escono solo dallo stereotipo che siamo abituati ad osservare.
D] Non sempre le modelle guardano in macchina: dico male?
R] Hai visto bene …
D] Perché questo?
R] C’è più l’attimo in quelle foto: cogli l’istante tra un prima e un dopo, come nello spezzone di un film.
D] Anche qui sopra c’è un ambiente familiare …
R] Si tratta di uno scatto datato, con tutto quanto abbiamo già detto: giochi di luce, sguardo altrove, location comune e un senso del tempo che vive. Lì esiste un racconto, perché si può percepire un “prima” ed un “dopo”.
D] Quando incontri Canon?
R] Nel 2005 …
D] Come mai una data così precisa?
R] In quell’anno decisi di passare definitivamente a digitale. Mi sono informato a lungo, mettendo in atto una valutazione tecnica molto profonda: con tanto di scala di valori, a mo’ di pagella. Canon è risultata la migliore.
D] Canon ti ha aiutato nel tuo lavoro?
R] Tantissimo, ci puoi credere.
D] In un video, ti ho visto usare un 70 – 200: ami forse le prospettive compresse?
R]Durante quello shooting, vi era l’esigenza di catturare uno scatto “a campo lungo”, con lo sfondo completamente sfuocato. Io usavo la Mark IIn, il che voleva dire usare quasi un 300 mm. Quando usi una focale così lunga, non riesci a comunicare con la modella; se poi c’è qualcosa da mettere a posto, devi continuamente camminare verso la modella. Non è la mia situazione abituale, anche se l’ottica (70 – 200 f/2,8, non stabilizzato) è straordinaria.
D] Qual è l’ottica che prediligi?
R] Il 50 mm. Ho la versione f/1,4 e vorrei tanto quella f/1,2.
D] La luce mista ti piace? Ti trovi bene? Mi sto riferendo alla foto qui sotto, tanto per intenderci.
R] Quello scatto l’ho ottenuto in Brera, a Milano. La luce mista? Sì, mi piace molto. Alle volte scatto in diurna con l’aiuto del flash (580).
D] Scatti in RAW?
R] Sì: sempre.
D] Esegui personalmente il ritocco?
R] Sì, seguo tutto personalmente; anche se con la “post” ci vado molto leggero.
D] L’ho notato …
R] Io non sopporto la pelle di plastica. L’uomo non lo ritocco mai, nella donna attenuo un poco quanto è inevitabile. I difetti debbono diventare pregi: questa è la verità. Per lo stesso motivo prediligo il 50 mm: è normale, il tuo occhio. Noi non guardiamo col 24 – 70.
D] Dopo dieci anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro che vorresti portare a termine?
R] Ce ne sono tanti. Molti sono nati e non hanno avuto seguito. Tutto dipende dal tempo: chi ne ha a disposizione è ricco. I soldi contano meno.
D] Vedo tanti hotel nelle tue foto: c’è un viaggio sempre in corso o rappresentano l’elemento di un racconto?
R] L’albergo è l’elemento del racconto. La professione di fotografo ti porta spesso in giro. Una volta, in hotel, dissi a me stesso: “Quanta gente è passata di qui!”. E poi: “Se queste mura potessero parlare!”. Le stanze d’albergo possiedono una magia particolare: tra il sacro e il profano. Possono risultare luoghi di perdizione o semplicemente posti dove ti puoi riposare: comunque lì vivono sempre storie.
D] Le Polaroid: una bella sorpresa …
R] La “Pola” ha una sua magia, un proprio fascino. La si usava prima del digitale, come scatto di prova. Mettevi tutto a posto e ti ritrovavi quel quadratino di “energia”. Il mio biglietto da visita è la riproduzione di un Polaroid.
D] Questioni di materia?
R] Esatto: senti quello che c’è e tocchi quanto vedi.
D] L’essere di Trieste ti ha aiutato nella tua professione?
R] Circa il lavoro, direi di no; come location però sì: il mare, la montagna, l’architettura …
D] Mostre? Libri?
R] Una mostra l’ho fatta nel 2004, sul popolo dell’Avana. Era una ricerca in B/N. L’ho voluta fare per beneficenza.
D] Molto interessante lo scatto qui sotto …
R] E’ uno scatto che piace anche a me, perché ho avuto da subito la sensazione di possederlo. Eravamo a Miami, a settembre. Lei è la modella che adesso interpreta la campagna Yamamay.
D] Ci sono delle foto alle quali sei legato particolarmente?
R] Quella che hai indicato è una di queste, poi c’è quella della modella che, a Parigi, cammina sotto la pioggia.
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D] Stampi le tue immagini?
R] Spesso: da solo o fuori, dipende. Tra ‘altro, il laboratorio al quale mi rivolgo usa Canon per la stampa.
D] Parlaci un poco della tua attrezzatura.
R] 24 – 70 f/2,8; 70 – 200 f/2,8 (non stabilizzato); 50 f/1,4; 85 f/1,8; 24 – 105 stabilizzato. Ho anche una EOS 1Ds Mark II in vendita, una Mark II n, una Mark III Ds. E’ in arrivo una EOS 1D Mark IV.
D] Perché una Mark IV?
R] Per via del video.
D] Ti interessa?
R] Mi sta stuzzicando. La fotografia resterà, per me, sempre al primo posto: non l’abbandonerò certo per il video. Diciamo che potrà risultare coadiuvante, quasi un rafforzativo: un modo ulteriore per rappresentare le tue emozioni.
D] Se potessi farti un augurio da solo: cosa ti diresti?
R] Non lo so: guardo sempre avanti. Spero di continuare a mettermi in discussione, non abbandonando mai i miei principi.
Grazie ancora a Maurizio Melozzi per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.
Mosé Franchi
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INTERVIEW :
Canon Interview By Mose’ Franchi :
I MOMENTI DELL’EMOZIONE
Incontriamo Maurizio Melozzi (il professionista della settimana) prima tramite le immagini (via internet), poi al telefono. Le sue fotografie di moda ci avevano stupito. Ovunque c’era semplicità, chiarezza, pulizia: ma anche una forte intensità emotiva. Le modelle non posavano soltanto, sembravano recitare per chi avesse visto le foto: al di là del fotografo, quindi. Questione di magie, che Maurizio tende a creare sempre, spesso costruendo dei contrasti tra abito e scena: il tutto nel rispetto della verità. Sì perché i luoghi sono comuni, usuali, riconoscibili; forse quelli dove noi (osservatori) vorremmo trovare quel tipo di modella, con quegli abiti, sorretta da quelle espressività. Ecco che tutto il “frame” diventa maggiormente riconoscibile e più alla portata: ma anche lontano dagli stereotipi comuni che degli scatti affrettati di oggi tendono a farci vedere. Questione di spazi, quindi: ma anche di momenti. Una storia, peraltro interpretata da chi guarda, ha bisogno di una piccola magia, che è quella del ricordo che subentra. Ecco, sì: le immagini di Maurizio sono storie concluse, vissute, le stesse che per sintesi diventano quasi un bel ricordo da incorniciare; è il “tempo” che diventa “momento”, separandosi un poco dal divenire. Così entrano in gioco anche quelle pose un po’ forzate, che per magia risultano riconoscibili, forse anche desiderate. Sono i “momenti dell’emozione”, quelli che i nostro ci restituisce, per raggiungere i quali lui mette in gioco abilità, tecnica, ma anche i propri principi: ai quali si allea con una coerenza antica. Noi li abbiamo rispettati, dopo aver goduto di tanti racconti fatti apposta per noi.
Grazie a Maurizio Melozzi per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.
D] Maurizio, quando hai iniziato? E perché?
R] Ho iniziato giovanissimo. Tieni conto che sono figlio di un fotografo, che però non voleva mi avvicinassi alla professione. Lui lavorava per il ministero e mi cacciava continuamente dalla camera oscura. Io, di soppiatto, rubavo le apparecchiature e scattavo foto ad amici, cose e paesaggi: il tutto casualmente, senza uno stimolo preciso. Solo col tempo ho capito come la fotografia racchiuda una filosofia: che poi è quella della logica (da seguire) ed anche del comportamento da tenere. Quando si scatta, nulla dovrebbe essere governato dal caso.
D] Professionalmente: a quando gli esordi?
R] Sono professionista da dieci anni. Prima lavoravo nel mondo della moda: tra vendita e comunicazione. Tra l’altro, quest’ultimo ambito lo seguivo per passione. Quando veniva organizzato un set fotografico, io cercavo di comprenderne il funzionamento. Ricordo che un giorno rimanemmo senza fotografo, così il direttore commerciale, conoscendo le mie attitudini, mi propose: “Lo vuoi fare tu?”. Io accettai; da lì al salto della barricata il passo è stato breve.
D] Sento tanta passione: è così importante?
R] Passione e sogni sono il motore della vita. Il lato economico, che pure ha una sua valenza, viene in secondo piano.
D] Hai avuto degli elementi ispiratori?
R] Molti e da tutti ho cercato di prendere qualcosa. Potrei citarti Peter Lindberg, Bruce Weber, Terry Richardson, e Marino Parisotto. Quest’ultimo l’ho anche conosciuto: è una persona cordiale, con anche una forte comunicativa.
D] Ti hanno dato molto?
R] Non voglio essere presuntuoso, ma ho cercato di avvicinarmi a loro. La fotografia è anche questo: guardando le immagini degli altri, riesci a prolungare i tuoi sogni. Chi non si è soffermato sull’ambiguità di Helmut Newton? Tentando poi di farla propria?
D] Maurizio, come hai curato la tua formazione?
R] Sono un autodidatta completo. Ho cercato di imparare con i libri, ma anche con la continua sperimentazione: buttando via quantità esagerate di acidi e carta. La scuola più grande, però, è venuta dai colleghi: almeno da quelli ai quali mi ero affidato per le domande che mi sorgevano studiando. Del resto Giovanni Cozzi diceva sempre: “La tecnica fotografica la impari in un giorno, il mestiere in una vita”; questo perché è difficile riuscire di mettere l’emozione in quello che si fa.
D] Su internet, nei vari articoli che ti riguardano, vieni definito come un ritrattista: ti ci riconosci?
R] Sì, è vero: amo molto il ritratto e la figura umana. In quell’ambito non puoi fermarti su ciò che vedi fuori, ma cercare l’anima: ciò che la persona non può mostrare solo con i caratteri estetici. Del resto, il ritratto è una componente forte della fotografia.
D] Metti le regole del ritratto in tutte le cose?
R] Diciamo che mi sono dedicato anche ad altro. Ho fatto paesaggi, e poi semplicemente “attimi di vita”: sensazioni appena catturate dagli occhi. Il ritratto mi piace molto, ma pure tutto quanto può suscitare curiosità.
D] Se dovessi definirti per uno stile, come ti chiameresti? Ritrattista? Interprete del fashion?
R] Secondo me non esiste il fotografo fashion. Chi opera nella fotografia dovrebbe avere il desiderio di esprimere una storia. Anche Avedon (altro grande) ha fatto del reportage; questo per dirti che la voglia di raccontare risulta essere una caratteristica intrinseca di chi lavora per immagini fisse. Quando mi trovo sul set, non fotografo solo un vestito, ma anche chi lo porta, colui (o colei) che lo indosserà, ed anche come lo vedo realmente. Questa regola, poi, possiamo anche allargarla ad altri ambiti. Se scatto una campagna, voglio comunque qualcosa in testa da poter interpretare.
D] Qual è la qualità più importante per un fotografo come te?
R] Mettersi sempre in discussione, analizzando in continuazione cosa si sta facendo; ma anche rimanere se stessi, coerenti con i propri principi.
D] Maurizio, vedo che tendi ad ambientare le tue storie in habitat inconsueti per il soggetto: perché?
R] Mi piace: amo creare contesti che vadano in contrasto col soggetto ritratto, almeno per quanto attiene agli stereotipi che lo accompagnano. Tutto questo rappresenta uno stimolo per la fantasia. Poi, nel mio caso il contrasto non è contrapposizione pura. Diciamo che vado oltre gli occhi, con l’intenzione di contestualizzare il tutto. La fotografia è anche testimonianza ed è per questo che gli ambienti che uso spesso sono luoghi visibili tutti i giorni, ma che non siamo abituati a legare con l’eleganza di un vestito o con la bellezza di una modella; succede che anche la location, reinterpretata, non venga più riconosciuta per quella che era. Insomma: scompaginare un po’ le cose può risultare utile.
D] Bianco & Nero o colore?
R] Bella domanda. Istintivamente risponderei B/N. Quando ero ragazzo per vedere monocromatico mettevo un filtro rosso davanti agli occhi …
D] Però …
R] Però, anche il colore ha un suo ruolo. Nella vita, vai a periodi: alle volte ti piace il “colore forte”, contrastato; in altri casi prediligi le tinte “desaturate”. Il bianco e nero, comunque, esercita su di me un fascino particolare; credo dipenda dal fatto che la fotografia assume un significato più vero, venendo a mancare il fattore distraente dei cromatismi.
D] Scatti a colori?
R] Oggi, col digitale, si fa così: il file viene trasformato dopo.
D] Tu vieni dall’analogico?
R] Sì.
D] Qualche rimpianto?
R] Forse sì, anche se il digitale ci ha aiutato tanto, al punto che non tornerei indietro. Manca forse l’adrenalina, perché un tempo fino all’ultimo non eri in grado di intuire i risultati che avevi ottenuto. Insomma, l’analogico incarna il romanticismo della fotografia.
D] Tornando ai contrasti tra soggetto e scena, la foto qui sopra ne è un esempio forte …
R] Mi piaceva il cemento, la luce verde. Era bella l’idea della ragazza in costume, inserita in un ambiente ostile per lei. L’atmosfera è quasi “clinica”: una scatola inospitale per un fiore che ha scelto il posto sbagliato. Io, comunque, amo variare le mie location: posso passare da una stanza barocca, ad un box per auto (che poi è il mio).
D] Nelle tue foto vedo un glamour castigato, eppure molto sensuale: che tipo di donna esce dalle tue immagini?
R] A me non piace sbattere in faccia al pubblico la nudità. Dico sempre: “Non sono un anatomista”. Preferisco il “vedo – non vedo”, perché è chi guarda a dover mettere in moto la fantasia. Esistono poi le eccezioni: se uno vuole studiare il donarsi, prende una modella e la comprime su un muro bianco; in quel caso, però, occorrono anche altre cose, non ultimo il carattere del soggetto che deve risultare forte, determinato.
D] La donna delle tue foto, però, che tipo è?
R] Se stessa: non recita e mostra il proprio carattere, forte per lo più. Naturalmente è determinante quanto si vuole rappresentare.
D] Scatti più volentieri in esterni o in studio?
R] Non amo scattare in studio. Anche “al chiuso”, prediligo ambienti che esistano. Il fondale bianco non fa per me.
D] Nelle tue immagini traspare comunque un’attenzione forte per le luci: veramente molto curate …
R] Vero: mi piacciono le lame di luce ed i giochi di ombre. Se mi consenti un parallelo che forse non è per queste righe, Caravaggio, il pittore, poneva la stessa attenzione nei suoi quadri. Ed è per questo che li amo molto.
D] Lame di luce e giochi di ombre: un po’ come nelle immagini qui sopra?
R] Sì, la luce che vedi è quella di un lucernaio. Come ti ho spiegato prima, ho solo interpretato il soggetto con quanto ho trovato.
D] Anche le pose dei modelli spesso sono inconsueti …
R] Dipende dall’ambiente ed anche dal soggetto: se sono sufficientemente stimolati, tendo a forzare pose innaturali; che poi magari non lo sono, perché escono solo dallo stereotipo che siamo abituati ad osservare.
D] Non sempre le modelle guardano in macchina: dico male?
R] Hai visto bene …
D] Perché questo?
R] C’è più l’attimo in quelle foto: cogli l’istante tra un prima e un dopo, come nello spezzone di un film.
D] Anche qui sopra c’è un ambiente familiare …
R] Si tratta di uno scatto datato, con tutto quanto abbiamo già detto: giochi di luce, sguardo altrove, location comune e un senso del tempo che vive. Lì esiste un racconto, perché si può percepire un “prima” ed un “dopo”.
D] Quando incontri Canon?
R] Nel 2005 …
D] Come mai una data così precisa?
R] In quell’anno decisi di passare definitivamente a digitale. Mi sono informato a lungo, mettendo in atto una valutazione tecnica molto profonda: con tanto di scala di valori, a mo’ di pagella. Canon è risultata la migliore.
D] Canon ti ha aiutato nel tuo lavoro?
R] Tantissimo, ci puoi credere.
D] In un video, ti ho visto usare un 70 – 200: ami forse le prospettive compresse?
R]Durante quello shooting, vi era l’esigenza di catturare uno scatto “a campo lungo”, con lo sfondo completamente sfuocato. Io usavo la Mark IIn, il che voleva dire usare quasi un 300 mm. Quando usi una focale così lunga, non riesci a comunicare con la modella; se poi c’è qualcosa da mettere a posto, devi continuamente camminare verso la modella. Non è la mia situazione abituale, anche se l’ottica (70 – 200 f/2,8, non stabilizzato) è straordinaria.
D] Qual è l’ottica che prediligi?
R] Il 50 mm. Ho la versione f/1,4 e vorrei tanto quella f/1,2.
D] La luce mista ti piace? Ti trovi bene? Mi sto riferendo alla foto qui sotto, tanto per intenderci.
R] Quello scatto l’ho ottenuto in Brera, a Milano. La luce mista? Sì, mi piace molto. Alle volte scatto in diurna con l’aiuto del flash (580).
D] Scatti in RAW?
R] Sì: sempre.
D] Esegui personalmente il ritocco?
R] Sì, seguo tutto personalmente; anche se con la “post” ci vado molto leggero.
D] L’ho notato …
R] Io non sopporto la pelle di plastica. L’uomo non lo ritocco mai, nella donna attenuo un poco quanto è inevitabile. I difetti debbono diventare pregi: questa è la verità. Per lo stesso motivo prediligo il 50 mm: è normale, il tuo occhio. Noi non guardiamo col 24 – 70.
D] Dopo dieci anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro che vorresti portare a termine?
R] Ce ne sono tanti. Molti sono nati e non hanno avuto seguito. Tutto dipende dal tempo: chi ne ha a disposizione è ricco. I soldi contano meno.
D] Vedo tanti hotel nelle tue foto: c’è un viaggio sempre in corso o rappresentano l’elemento di un racconto?
R] L’albergo è l’elemento del racconto. La professione di fotografo ti porta spesso in giro. Una volta, in hotel, dissi a me stesso: “Quanta gente è passata di qui!”. E poi: “Se queste mura potessero parlare!”. Le stanze d’albergo possiedono una magia particolare: tra il sacro e il profano. Possono risultare luoghi di perdizione o semplicemente posti dove ti puoi riposare: comunque lì vivono sempre storie.
D] Le Polaroid: una bella sorpresa …
R] La “Pola” ha una sua magia, un proprio fascino. La si usava prima del digitale, come scatto di prova. Mettevi tutto a posto e ti ritrovavi quel quadratino di “energia”. Il mio biglietto da visita è la riproduzione di un Polaroid.
D] Questioni di materia?
R] Esatto: senti quello che c’è e tocchi quanto vedi.
D] L’essere di Trieste ti ha aiutato nella tua professione?
R] Circa il lavoro, direi di no; come location però sì: il mare, la montagna, l’architettura …
D] Mostre? Libri?
R] Una mostra l’ho fatta nel 2004, sul popolo dell’Avana. Era una ricerca in B/N. L’ho voluta fare per beneficenza.
D] Molto interessante lo scatto qui sotto …
R] E’ uno scatto che piace anche a me, perché ho avuto da subito la sensazione di possederlo. Eravamo a Miami, a settembre. Lei è la modella che adesso interpreta la campagna Yamamay.
D] Ci sono delle foto alle quali sei legato particolarmente?
R] Quella che hai indicato è una di queste, poi c’è quella della modella che, a Parigi, cammina sotto la pioggia.
melozzi_14.jpg
D] Stampi le tue immagini?
R] Spesso: da solo o fuori, dipende. Tra ‘altro, il laboratorio al quale mi rivolgo usa Canon per la stampa.
D] Parlaci un poco della tua attrezzatura.
R] 24 – 70 f/2,8; 70 – 200 f/2,8 (non stabilizzato); 50 f/1,4; 85 f/1,8; 24 – 105 stabilizzato. Ho anche una EOS 1Ds Mark II in vendita, una Mark II n, una Mark III Ds. E’ in arrivo una EOS 1D Mark IV.
D] Perché una Mark IV?
R] Per via del video.
D] Ti interessa?
R] Mi sta stuzzicando. La fotografia resterà, per me, sempre al primo posto: non l’abbandonerò certo per il video. Diciamo che potrà risultare coadiuvante, quasi un rafforzativo: un modo ulteriore per rappresentare le tue emozioni.
D] Se potessi farti un augurio da solo: cosa ti diresti?
R] Non lo so: guardo sempre avanti. Spero di continuare a mettermi in discussione, non abbandonando mai i miei principi.
Grazie ancora a Maurizio Melozzi per il tempo e le immagini che ci ha voluto dedicare.
Mosé Franchi
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